Medico specializzato in psicoterapia dinamica adleriana, Jean si è avvicinato alla decrescita da molto giovane, quando ha letto – come accade per molti – “La decrescita felice” di Maurizio Pallante. “La decrescita è stata la bocca per il mio grido” ci dice citando Giorgio Gaber: quella griglia di significati in cui si sono andati inquadrando frustrazioni, debolezze, e quel senso di inquietudine che caratterizza la vita di molti giovani e giovanissimi dell’epoca contemporanea. Più che una teoria economica o una raccolta di buone pratiche la decrescita sembra essere, nell’esperienza di molti, una chiave di lettura capace di dare significato a tutto il resto.
Non importa essere informatissimi sull’attualità, né essere esperti di economia per capire che c’è qualcosa di stonato in un sistema socio-economico basato sulla crescita infinita, sulla mercificazione di ogni cosa, vivente o non, sul consumismo, sulla competizione, sulla separazione fra uomo e natura (col primo che deve competere con i suoi simili per accaparrarsi le risorse della seconda). Solo che questo senso di insoddisfazione latente, questo bisogno insoddisfatto di significato, stenta a trovare sfogo nella società contemporanea. La decrescita serve proprio a questo: fornisce una interpretazione alle dinamiche della società contemporanea e al tempo stesso le smaschera, vanificandole. Non fornisce una soluzione specifica e univoca ma un orizzonte di significato. “La decrescita – afferma Jean – ci dice come possiamo ognuno nella sua maniera remare verso un diverso tipo di orizzonte.”
Proprio per questa sua natura prospettica di lente attraverso cui guardare il mondo, la decrescita si presta di essere applicata a vari contesti. Con Jean ne affrontiamo uno in particolare, la medicina. L’incrocio fra decrescita e medicina appartiene molto al percorso personale di Jean. “Dopo che ho finito medicina sono andato in Africa un anno nonostante tutti mi dicessero ‘ma sei pazzo? Non fai la specializzazione?’ Quando sono tornato ho trovato tutti i miei colleghi che stavano competendo per prendere la specialità in psichiatria, studiavano come dei matti 10 ore al giorno per poi andare ad infarcire le persone di psicofarmaci. Era quello che ci si aspettava anche da me, ma io lì ho capito che non faceva per me. Jung chiama questa capacità ‘l’individuazione’, capire ciò che amiamo fare e che ci rende felici al di là delle mode e degli stimoli esterni. A me quel contesto rendeva infelice, per cui me ne sono andato”.
E’ iniziata così la scoperta che la salute e la decrescita hanno un rapporto intimo, così come quello fra la società della crescita con la medicina attuale. “La sanità incide per un 10-20% sulla nostra salute; un altro 10% è genetico. Un buon 60-70% è determinato da determinanti sociali, ambientali e culturali.” Si capisce dunque quanto sia schizofrenico parlare di salute senza parlare di stili di vita, di ambiente ecc. Proprio con queste finalità è nata, poco prima del periodo in cui ci siamo incontri, la rete Sostenibilità e salute (di cui fa parte anche Italia che Cambia) che ha subito approvato la Carta di Bologna.